cuocere il pane - 3

Cuocere il pane - 3° parte

Ma diamo ora un’occhiata più da vicino a cosa succede durante la cottura vera e propria del pane lievitato perché durante la cottura avvengono le vere trasformazioni chimico fisiche che trasformano un impasto molliccio e informe di acqua, sale (quando c’è), farina e lieviti in vero pane.

Sulla superficie dell’impasto, una volta messo in forno, la temperatura raggiunge abbastanza presto i 100 °C e quindi il lievito (naturale) che sta in superficie, muore quasi subito.

Dentro l’impasto invece la temperatura sale molto più lentamente per due motivi: primo perché all’interno il fenomeno raffreddante dell’evaporazione dell’acqua è molto ridotta rispetto a quanto avviene sulla superficie e poi perché l’amido, impastato con l’acqua e rigonfio di anidride carbonica o ammoniaca, è un ottimo isolante termico e quindi protegge molto bene l’interno della pagnotta dal calore proveniente dalle pareti o dal fondo del forno. In queste condizioni di temperatura elevata ma, almeno all’interno dell’impasto, non mortale, il lievito “lavora” in modo ottimale.

Infatti il metabolismo dei lieviti, come di tutti gli organismi viventi, ha un ben preciso intervallo di attività: al freddo non si attiva o è molto rallentato mentre al caldo eccessivo si interrompe per morte.

Ma alla giusta temperatura, ricordiamo che dentro la pagnotta esiste un ambiente decisamente più “vivibile” che non sulla crosta, questo metabolismo produce grandi quantità di anidride carbonica, rigonfiando così l’impasto che a questo punto aumenta parecchio di volume.

Così si produce la soffice mollica la cui struttura è composta essenzialmente di grandi cavità.

Sulla crosta invece il lievito non resiste alle temperature troppo alte e muore quasi subito.

Questo è il motivo per cui la crosta non ha bolle o ne ha di molto piccole. Il motivo per cui abbiamo definito assolutamente fondamentali le prime, piccole bolle formatesi durante l’iniziale impasto meccanico, si basa sul fatto che all’interno di piccole queste cavità piene d’aria, il lievito all’inizio riesce a vivere e a produrre così queste grandi quantità di gas che poi, nel forno, faranno rigonfiare la pagnotta fino alla sua forma finale.

Senza quelle prime, minuscole ma infinite bollicine di aria intrappolate nel glutine attraverso la manipolazione meccanica iniziale, il lievito morirebbe soffocato dall’impasto stesso perché esso, proprio come ogni organismo vivente, ha bisogno di aria per vivere.

Questa è la ragione per cui a un impasto frettoloso e insufficiente segue un pane duro, privo o comunque con una insufficiente quantità di soffice mollica. Più si lavora di gomito all’inizio nell’impasto, più il pane risultante, a parità di altre condizioni (forza della farina, quantità di lieviti eccetera), risulterà soffice. Il massimo di attività del lievito si ha quando dentro l’impasto si raggiungono i 35 °C circa.

Questo vale sia per i lieviti naturali che producono anidride carbonica ed alcool che per quelli chimici che producono ammoniaca e, di nuovo, di anidride carbonica. Attorno ai 55 °C per il lievito comincia a fare troppo caldo e così esso, oltre che sulla crosta, muore anche all’interno dell’impasto.

A questo punto si interrompe la formazione di nuovo gas e termina il processo di gonfiaggio dell’impasto: è il momento in cui la pagnotta, il filone, la rosetta o quello che volete assume la sua forma definitiva. Fra 56 e 60 °C invece succede qualcosa di nuovo: l’amido dell’impasto perfeziona la sua gelatinizzazione, iniziata a freddo durante l’impasto.

A questo punto esso diventa capace di assorbire grandi quantità di acqua dall’impasto stesso e si passa così da un qualcosa che consisteva di due principali fasi, l’amido (e anche altre tanti componenti ma in piccola quantità) disperso in acqua, a un materiale composto da una sola fase: un gel di amido nel quale restano disperse soltanto quei numerosi altri componenti in quantità minori.

Fra i 60 e i 70 °C le proteine contenute nell’impasto, sia quelle originariamente insolubili e cioè la gluteina e la glianina che avevano formato il glutine, sia quelle solubili in acqua e che si erano quindi sciolte letteralmente nell’acqua dell’impasto, denaturano.

Ricordate i post sulla cottura della carne e sulla denaturazione proteica? Bene, questo è il momento in cui le proteine della farina perdono le loro strutture più complesse e si riducono a filamenti più o meno intrecciati ma molto più facili da digerire di aminoacidi.

Questo, come sappiamo, è un fenomeno irreversibile e quindi da questo momento il pane non tornerà più farina e acqua! La denaturazione del glutine fa assumere al pane la sua forma definitiva perché con essa le reti proteiche si irrigidiscono diventando solide anche se, grazie al contenuto di glutenina, il pane resta ancora elastico.

Oltre alle proteine del glutine, a questa temperatura denaturano anche le altre proteine contenute nella farina, per esempio quelle solubili in acqua e che si erano sciolte nel gel di amido, in modo praticamente omogeneo nell’impasto.

Loro daranno un grande contributo alla definizione del gusto finale del pane. Il contenuto proteico medio di un pane è attorno al 10% in peso, che non è molto rispetto alla carne ma che non va sottovalutato.

Fra gli aminoacidi presenti nelle proteine del pane manca la lisina, che vuol dire che… non si può vivere di solo pane.

A questo punto occorre tornare un po’ indietro, per vedere come lavorano gli enzimi dei lieviti. Gli enzimi sono spietati: da una parte come abbiamo visto, attaccano l’amido liberandone le catene intrecciate fra loro e rompendole in più punti, producendo spezzoni dal sapore dolce chiamate destrine.

Ma attaccano anche le catene proteiche e quindi liberano nell’impasto in cottura una miriade di aminoacidi liberi (ricordate come sono fatte le proteine?) che così da una parte saranno più digeribili e più biodisponibili e dall’altra contribuiranno all’inconfondibile aroma del pane fresco appena cotto.

Le destrine e le singole molecole di glucosio che si originano dalla rottura delle lunghe catene di amido non possono essere ulteriormente attaccati dagli enzimi, perché altrimenti questi si “mangerebbero” tutto il nostro pane! Per nostra fortuna, nel frattempo la temperatura è diventata così alta che gli enzimi muoiono e ci lasciano un pane in parte da loro predigerito e quindi molto più nutriente!

A proposito della digeribilità del pane possiamo aggiungere che esso è uno degli alimenti più digeribili, visto che rimane nel tratto gastrico per non più di un paio d’ore e mezza: esso è quindi una fonte energetica importante e anche di rapido effetto.

Ma la reazione più straordinaria, quella che più di tutte contribuisce a dare l’aroma e il colore biondo della crosta del pane fresco, avviene a questo punto fra le due grandi categorie di prodotti dell’attività degli enzimi: gli zuccheri da una parte (liberati dall’amido) e gli aminoacidi dalla’altra (liberati dalle proteine).

Queste specie chimiche reagiscono infatti fra di loro appena la temperatura raggiunge i 150 °C e quindi soltanto in superficie, su quella che sarà cioè la crosta del pane.

All’interno invece le temperature non raggiungeranno mai questi valori e così queste reazioni fra zuccheri e aminoacidi non si avvieranno.

L’insieme di reazioni chimiche che avvengono ad alta temperatura fra zuccheri e aminoacidi, si raggruppano con il nome generale di reazione di Maillard: ce ne occuperemo in dettaglio in un capitolo a parte, perché interessa non solo il pane ma molti altri alimenti cotti al forno o fritti (ovvero con cotture capaci di far raggiungere all’alimento temperature così elevate).

Siamo arrivati al punto in cui occorre rimuovere il pane dal forno ma attenzione: la cottura non è ancora terminata! In quest’ultima fase, infatti, l’acqua continua ad evaporare dalla forma di pane attraverso la crosta, che è ad essa permeabile. Il pane quindi in questa fase perde peso.

La crosta si stabilizza nella sua composizione chimica e nella struttura finale ed il pane acquisisce dunque forma, aroma e sapore definitivi.

Senza l’invenzione del forno e della cottura del pane, senza la conoscenza acquisita in millenni di esperienza, che vanno dalla scelta delle farine, dai tempi e dalle modalità di impasto meccanico, alle aggiunte dei vari lieviti, alla definizione delle giuste temperature e tempi di trattamento, beh, noi non conosceremmo il piacere di poter gustare questa grande invenzione frutto di millenni di sapienza tecnologica, il pane fresco.La civiltà umana è senza dubbio anche questo.