caramellizzazione

Il processo di caramellizzazione

Abbiamo più volte sfiorato l’argomento della caramellizzazione, quell’insieme di reazioni che avvengono quando si cuociono cibi contenenti zuccheri.

Vale la pena di approfondire questo argomento così… dolce. In un precedente post abbiamo visto cosa succede al saccarosio quando viene riscaldato in acqua. Vediamo adesso cosa succede agli zuccheri quando vengono riscaldati “a secco”, ovvero in ambienti privi di acqua.

La caramellizzazione avviene durante molti processi di cottura, non soltanto quelli che si fanno a casa.

Il colore e l’odore tipico della birra scura, del caffè, delle marmellate e di molti semi tostati come le noccioline americane, sono dovuti (anche) a reazioni di caramellizzazione. I carboidrati, che sono zuccheri semplici o molecole formate da un paio di zuccheri semplici o ancora polimeri di zuccheri semplici, quando vengono riscaldati a una temperatura superiore ai 100° (ecco perché con la bollitura non si può caramellizzare nulla) e in genere compresi fra 110 e 180 °C, subiscono modifiche chimiche irreversibili.

Perdono essenzialmente acqua (o meglio atomi di idrogeno e ossigeno presenti nelle loro strutture si riuniscono fra di loro per fare acqua) e imbruniscono con sviluppo di odori caratteristici. I cristalli di zucchero fondono in una massa più o meno molliccia che in poco tempo indurisce.

L’imbrunimento e l’odore dipendono molto dal grado di caramellizzazione: più si va avanti e più il caramello scurisce fino a diventare nero carbone, anzi in realtà alla fine diventa proprio carbone, visto che della struttura degli zuccheri restano soltanto gli atomi di carbonio.

Le temperature di caramellizzazione, guarda caso, sono proprio quelle tipiche delle cotture arrosto e delle fritture. Questo ci dice che la caramellizzazione degli zuccheri, quando queste sostanze sono presenti negli alimenti, avviene appunto durante queste cotture.

Ma cosa succede di concreto? Diciamo che a scuola ci semplificano molto le idee dicendo che la materia esiste nei tre stati: gassoso, liquido e solido e che passa da uno stato all’altro con fenomeni chiamati fusione, evaporazione, sublimazione o al contrario, liquefazione eccetera eccetera.

Si cita sempre l’acqua: a temperature inferiori a 0 °C essa appare come un solido chiamato ghiaccio.

Se si scalda il ghiaccio oltre gli 0 °C, questo fonde trasformandosi in un liquido e poi a 100 °C, bollendo, passa a un nuovo stato ancora, quello gassoso, che meglio sarebbe chiamare di vapore.

Ma questo avviene solo sui libri e solo per alcune sostanze molto semplici: la realtà è un po’ più complicata (e per questo una laurea in chimica richiede almeno cinque anni di studio..).

Per alcune sostanze infatti, soprattutto per quelle con strutture organiche complicate, accade che i legami che la tengono in piedi si rompano prima che si raggiungano le temperature a cui quella sostanza avrebbe cambiato stato, per esempio la fusione o l’evaporazione. Insomma, molte molecole, quelle fatte di molti atomi e molti legami, non ce la fanno a raggiungere le loro temperature di fusione o di ebollizione e si rompono (decompongono) prima. In questi casi vanno letteralmente in pezzi prima di fondere e così alla fine invece di qualcosa di fuso ci troviamo di fronte a qualcosa… decomposto.

Non è la stessa cosa perché mentre una sostanza fusa è esattamente la stessa di quando era solida ma soltanto in uno stato fisico differente, la sostanza decomposta è completamente diversa da quella di partenza. Inoltre menter i cambiamenti di stato sono reversibili, ovvero possono tornare indietro (l'acqua può ghiacciare ma poi tornar eliquida esattamente come prima) nelle decomposizioni non si torna più indietro, e i prodottti decomposti non torneranno mai com'erano prima.

Il saccarosio è un classico esempio di molecola che decompone prima di fondere. Se scaldate un po’ di saccarosio , il normale zucchero da tavola, in un pentolino ma senza aggiungere acqua, vedrete che esso piano piano diventa molliccio (inizia a fondere) ma presto imbrunisce, fuma, cambia odore: insomma si decompone.

A una certa temperatura gli spezzoni prodotti dalla decomposizione cominciano a reagire con l’ossigeno dell’aria e fra di loro, dando così origine a qualcosa di completamente diverso dallo zucchero di partenza e la cui composizione e struttura dipende dal momento in cui.. spegnete il fuoco!

E così gli zuccheri più noti, quelli  più semplici, come il glucosio o il fruttosio, o quelli più complessi come il saccarosio (che è formato da una molecola di glucosio e da una di fruttosio), a una certa temperatura si rompono e reagiscono con l’ossigeno dell’aria e poi di nuovo gli spezzoni così formati reagiscono con altro ossigeno o fra di loro, dando origine a un materiale molto differente da quello di partenza.

Uno dei composti più tipici della decomposizione termica del saccarosio e degli zuccheri in generale è il diacetile, che è una delle prime molecole a formarsi quando un carboidrato viene fatto decomporre con la temperatura. Per questo per avvertirne il buonissimo odore, occorre stare lì, col naso sul pentolino, perché immediatamente dopo si formano altri composti dall’odore più pungente e “pieno”.

Il diacetile si riconosce facilmente “a naso” perché ha il tipico odore del burro fresco (che deve il suo odore proprio a questa molecola) e risulta assai piacevole. Una buona caramellizzazione non dovrebbe andare troppo oltre la temperatura a cui si forma il diacetile.

Nella cottura della crosta del pane, ricca di zuccheri semplici e destrine provenienti dalla rottura enzimatica dell’amido, si formano discrete quantità di diacetile ed esso contribuisce all’aroma del pane appena sfornato. Ma durante la decomposizione termica degli zuccheri (la nostra caramellizzazione) si formano anche molte altre molecole.

Fra queste possiamo citare l’idrossi metil furfurale (presente nel miele, nell’aceto balsamico e in molti composti zuccherini cotti), il maltolo (soprattutto nel caso del saccarosio), l’idrossi maltolo (questo si origina soprattutto partendo da glucosio e fruttosio).

Tutte insieme queste molecole –e moltissime altre- danno ai prodotti caramellizzati il tipico aroma di dolce e appena bruciato che così tanto stuzzica l’appetito.

All’aumentare della temperatura o del tempo di caramellizzazione, man mano che i processi di decomposizione vanno avanti, si passa da questi aromi delicati ad aromi sempre più forti e l’odore genericamente dolce si trasforma in un odore genericamente bruciato e alla fine, se uno non si ferma, si ottiene una crosta nera completamente bruciata, dall’aroma decisamente meno invitante e nfine un blocchetto nero di carbone purissimo.

Una interessante tabella, tratta dal sito dell’EUFIC (European Food International Council), che sintetizza il processo di caramellizzazione all’aumento della temperatura, è quella mostrata qui in alto sopra al post.

Ovviamente tutti gli alimenti contenenti zuccheri semplici o polimerici, soprattutto in superficie dove il calore è maggiore, danno luogo a processi di decomposizione o, se vogliamo, di caramellizzazione.

E siccome gli amidi e i prodotti amidacei (come gli impasti con la farina di grano ma anche tutti gli impasti fatti con le patate) sono polimeri di zuccheri che l’alta temperatura porta a rompersi dando origine a catene polimeriche più corte (dette destrine) o addirittura a singole molecole di zuccheri, ecco che le “croste” di alimenti che contengono queste sostanze, riscaldate al forno o fritte, sono la sede ideale per tali reazioni di caramellizzazione.